L'amuleto di Kavafis
Michelangelo Innocenti
11/26/2025
Kostantinos Kavafis (Alessandria d’Egitto, 1863 – Alessandria d’Egitto, 1933) fu uno dei maggior poeti della letteratura greca moderna. Ecco un frammento autobiografico dove il poeta parla di sé: "Io sono di origine costantinopolitana, ma nato in Alessandria d'Egitto, in una casa della via Cherif. Me ne andai di là ch'ero ancora bambino, e molta parte della mia infanzia la passai in Inghilterra. Più avanti negli anni visitai ancora quel paese, ma per poco. Soggiornai anche in Francia. Adolescente, passai più di due anni a Costantinopoli. In Grecia è da anni che non vado più. Il mio ultimo impiego è stato presso un ufficio dipendente dal ministero egiziano dei Lavori Pubblici. Parlo l'inglese, il francese e un poco italiano." (Kostantinos Kavafis, Settantacinque poesie, Nelo Risi - Margherita Dalmati (a cura di), Torino, Einaudi, 1992, p. 10)
La sua vita editoriale fu molto discreta: pubblicò sporadicamente in riviste alquanto secondarie e una sua prima raccolta di versi uscì solo nel 1935, postuma.
Ciò che colpisce molto della vicenda poetica di Kavafis è l’aspetto linguistico. Il suo greco era quello di un autodidatta – non esente peraltro da gravi errori ortografici – che, dopo il 1903, mescolava lessico colto e triviale in un originale impasto linguistico. Kavafis, soprattutto per il suo linguaggio, ebbe molti importanti detrattori, come il poeta Kostìs Palamàs; altri celebri autori greci esprimeranno su Kavafis pareri positivi, ma con qualche riserva: per Nikos Kazantzakis egli è “uno degli ultimi fiori di una cultura. Un fiore dalle doppie foglie scolorite, dal lungo stelo svigorito, un fiore senza seme”, per Giorgos Seferis (Nobel alla Letteratura del ‘63) Kavafis “è una fine, non un inzio” ed Odysseas Eltis (Nobel alla Letteratura del ‘79) lo definirà “innovatore, ma vecchio”.
Le poesie di Kavafis trattano “l’amore omosessuale, cantato con accenti ora violentemente sensuali, ora accoratamente nostalgici”, “l’inafferrabilità della bellezza” e “la storia vista come terreno di scontro tra l’uomo e la sorte” (Enciclopedia della letteratura Garzanti del ‘74, p. 380) . I suoi capolavori sono Itaca, dove viene trattato l’argomento del viaggio, e Aspettando i barbari, dove si parla di un’attesa dal finale amaro e spaesante.
(Ulteriore fonte di questo breve testo è l’articolo di Nicola Crocetti, “In un angolo sghembo del mondo”. Kavafis, il gigante solitario pubblicato su Pangea in data 8 aprile 2025, l'immagine è tratta da Wikipedia ed è di pubblico dominio)
L'amuleto di Kavafis
La tua bocca mi ha nutrito di cielo
ho una nuvola sul palato
dammi un po' della tua mano
che è il porto d'Alessandria
ove Kavafis mi regalò il tuo amuleto.
L'Itaca dei miei giorni, adesso
così indifesa e crudele nella memoria
l'Itaca di Kavafis
le tue spalle!
un fiocco di neve sulle tue spalle
un garofano sulla tua maglia celeste
come sull'amuleto di Kavafis un'onda
che ci raggiunge dal porto di Santa Lucia
portata dai venti caraibici e schiene di meretrici.
Tu mi meriti un mistero!
i tuoi capelli mi hanno regalato un fiume
da nutrire con ciottoli e speranze
mi hanno regalato Itaca e il suo amuleto
il suo amuleto e un fiume e il tuo nome:
un nome sul quale tremare nella notte
una notte per la quale tremare senza il nome.
Commento dell'autore sulla poesia
L’amuleto rappresenta, nei primi versi di questa poesia, l’oggetto feticcio dell’aspirazione poetica.
L’Itaca di Kavafis (luogo di ideale ritorno o raggiungimento) sta a questa aspirazione, l’amuleto simboleggia l’eredità poetica e porta con sé anche la sua “indifesa e crudele” essenza, che è il monito del viaggio omerico. Ma l’amuleto ha più facce: l’altra, inequivocabile per il suo carattere superstizioso e di mistero, evoca l’anima d’amore.
Potremmo affermare che la poesia è per eccellenza l’oggetto di superstizione del sentimento. Se la prima faccia dell’amuleto svela il volto del dono poetico, l’altra, nascosta, è un collage di immagini relative a colei che è amata; immagini che vissute, nella realtà e nell’ambiguità che è il sogno d’amore, vanno ad imprimersi sull’altra faccia dell’oggetto simbolico. Potremmo affermare che l’amuleto è un oggetto vivo, una creatura, che assume nuovi colori e nuovi volti a seconda del viaggio. Che sia questo il viaggio poetico o il viaggio d’amore.
“i tuoi capelli mi hanno regalato un fiume
da nutrire con ciottoli e speranze
e l’amuleto ha il suo nome entro le due facce”
L’oggetto simbolico in questo caso imprime un ricordo, forse un sogno, nel quale il corpo dell’amata viene trasfigurato: l’ondeggiare dei capelli si trasforma in un fiume, la bocca è cielo. Ricordo? Sogno? Fantasia? Solo l’amuleto conosce i dettagli della memoria dell’amato tanto bene da nominarli. Queste memorie hanno un nome, il nome è impresso nella seconda faccia dell’amuleto, ma per svelare il l’enigma, è fondamentale conoscere la prima faccia. Solo attraverso il dono poetico, la lente emotiva adatta, è possibile nominare i sentimenti che disvelano il mistero. Solo la poesia sa nominare l’amore, solo la poesia, ne svela l’essenza. Il chiasmo finale è la figura retorica che rappresenta figurativamente al meglio le due facce dell’amuleto:
“un nome per il quale tremare nella notte”
il nome qui è la poesia stessa, il dono diretto di Kavafis.
“una notte sulla quale tremare al suo nome”
evoca l’idea dell’amata, al quale nome l’amato, con la notte, trema.
Ma qui, come dicevamo in precedenza, “il nome” non ha carattere nominativo, bensì evocativo: poesia e sentimento, le facce dell’amuleto, vengono evocate attraverso il loro carattere ideale, ineffabile e soprattutto “indifeso e crudele”.
Così, come tutte le aspirazioni umane: l’aspirazione di Ulisse, nel suo viaggio di ritorno verso Itaca, che diventa l’aspirazione di Kavafis nel viaggio della vita, e infine, come dono a chi scrive, l’aspirazione verso un ideale poetico e sentimentale, che nasce in primis come atto d’amore incondizionato verso la poesia. Potremmo dunque affermare, in ultimo, che tutte le poesie d’amore sono in realtà poesie d’amore per la poesia, alla poesia.


